TESTAMENTO SEGRETO: NON EREDITA IL MARITO CHE FIRMA AL POSTO DELLA MOGLIE DEFUNTA.
- Avv. Domenico Buccafurri

- 17 set 2020
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Con una recente pronuncia (Cass. Civ., Sez. VI, Ord. n. 19045 del 14 settembre 2020) la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di testamento segreto, affermando che la firma apposta da una persona diversa comporta l’indegnità a succedere e, pertanto, alla perdita della qualità di erede.
La vicenda.
Il fatto trae origine dall'azione proposta dal marito di una defunta nei confronti di 2 soggetti chiamati all'eredità, al fine di far dichiarare giudizialmente la propria qualità di erede (petizione di eredità) e la nullità del testamento olografo della defunta moglie per la falsità della sottoscrizione.
I 2 soggetti convenuti in giudizio, a loro volta, per l’ipotesi di nullità del testamento, propongono una domanda riconvenzionale chiedendo al Tribunale di dichiarare l’indegnità a succedere del marito della defunta con la conseguente esclusione dall’eredità legittima.
Ed infatti, secondo le risultanze della perizia, Il marito della defunta aveva con molta probabilità sottoscritto e datato il testamento al posto della moglie, e, perciò, si configurava l’ipotesi dell’indegnità a succedere prevista dall’art. 463, n. 6, del Codice civile “chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso”.
Pur avendo condiviso con il perito che la firma e la data sul testamento fossero state apposte con molta probabilità dal marito anziché dalla defunta moglie, Il Tribunale di Pesaro riteneva che non potesse essere dichiarata l’indegnità a succedere, in quanto il testamento era già nullo perché non sottoscritto dalla defunta, e, pertanto, stabiliva che per la successione legittima al marito spettassero i 2/3 dell’eredità, mentre ai due convenuti il restante 1/3.
Questi ultimi impugnavano la Sentenza del Tribunale innanzi alla Corte d’Appello di Ancona, che oltre a rigettare l’eccezione di tardività di riassunzione del giudizio interrotto per il decesso del marito della defunta, dichiarava l’indegnità a succedere di quest’ultimo, ribaltando la decisione di primo grado.
Per i Giudici di secondo grado era, infatti, sbagliata la decisione del Tribunale, che non aveva dichiarato l’indegnità a succedere del marito, ritenendo la firma e la data era come “un falso innocuo”, in quanto riguardante un testamento già nullo.
Secondo la Corte d’Appello, invece, si era in presenza di un testamento falso, perché la firma e la data erano state apposte, comunque, da una persona diversa dal testatore, anche se quest’ultimo aveva scritto di proprio pugno il restante contenuto. Venivano meno, pertanto, i requisiti di cui all’art. 602 c.c.: “Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore”.
Inoltre, per pronunciare l’indegnità a succedere non era necessario che il testamento contenesse disposizioni contrarie alla volontà del testatore. Del resto, nel caso in questione non era stato possibile stabilire quali fossero le ultime volontà della defunta, che aveva redatto il testamento senza sottoscriverlo; mentre il marito non aveva fornito la prova che le disposizioni del testamento corrispondevano alle ultime volontà della moglie defunta.
La Corte d’Appello, pertanto, dichiarava anche l’indegnità a succedere del marito con la conseguente esclusione dalla successione legittima della moglie defunta.
I motivi di ricorso in sintesi e la decisione della Cassazione.
Con il primo motivo la ricorrente, erede testamentaria del marito, deduce la violazione dell’art. 291 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3, c.p.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del giudizio per omessa notifica del ricorso in riassunzione e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza nei confronti dell’erede testamentaria del marito.
Questo motivo è stato ritenuto infondato dalla Cassazione, la quale ha chiarito che in caso di interruzione del processo il termine perentorio previsto dall’art. 305 c.p.c. riguarda soltanto il deposito in cancelleria del ricorso, di modo che la fissazione di un ulteriore termine da parte dello stesso giudice serve a garantire il rispetto del contraddittorio, in quanto il vizio della notifica del ricorso non si estende alla riassunzione ma impone al giudice di ordinare la rinnovazione della notifica stessa.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 463 n. 6 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., e l'omesso esame fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha dichiarato l'indegnità a succedere dell'attore nell'eredità della moglie.
Secondo la ricorrente, infatti, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel dare per scontato che il marito avesse firmato e datato il testamento al posto della defunta moglie per un duplice ordine di motivazioni:
1) la consulenza tecnica d’ufficio aveva concluso esclusivamente con un giudizio di alta probabilità, che non significa certezza;
2) la moglie defunta aveva redatto il restante contenuto del testamento.
La Corte d’Appello non avrebbe, inoltre, considerato che con l’alterazione del testamento il marito avrebbe ricevuto soltanto l’usufrutto dei beni e una quota di proprietà di un magazzino, anziché la proprietà di tutti gli altri immobili, mentre l’indegnità a succedere non richiede esclusivamente la falsificazione del testamento, ma anche una divergenza tra il contenuto dello stesso e le ultime volontà della defunta.
Anche questo motivo è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte.
“Secondo le Sezioni Unite (n. 8053 del 2014), l'art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo in vigore ratione temporis, consente di denunciare in cassazione solo il vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia”.
Pertanto, sul ricorrente grava l’onere “di indicare, con la dovuta specificità, il "fatto storico", principale o secondario, ossia un accadimento, una circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico il cui esame sia stato omesso, nonché il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti nonchè, infine, la sua "decisività".
Tale onere non è stato assolto dalla ricorrente, che si è limitata a “a sollecitare un'inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio”, attività che compete in via esclusiva al giudice di merito.
Secondo gli Ermellini la Corte d’Appello ha applicato correttamente il principio per cui “la formazione o l'uso consapevole di un testamento falso” comporta l’indegnità a succedere se chi ha commesso l’alterazione non fornisca la prova che le disposizioni testamentarie corrispondano alla volontà del defunto e quest’ultimo lo aveva autorizzato a compilare la scheda nel caso in cui non fosse riuscito a farla di persona, ovvero il defunto voleva provvedervi per evitare la successione legittima (Cass. n. 24752 del 2015; Cass. n. 15375 del 2000).
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