MEDICI, INFERMIERI E OPERATORI SOCIO SANITARI SONO OBBLIGATI A VACCINARSI?
- Avv. Domenico Buccafurri

- 28 giu 2021
- Tempo di lettura: 4 min

La campagna vaccinale è entrata, come ormai è noto, nel pieno svolgimento in Italia e con essa sono arrivate le prime pronunce da parte dei Tribunali di merito in ordine alla libertà di scelta per il personale sanitario di sottoporsi al vaccino contro il virus Sars-Cov-2 (coronavirus).
Se è vero che ogni cittadino è libero di scegliere se vaccinarsi o meno, questa libertà, tuttavia, potrebbe incontrare delle forti limitazioni, strettamente connesse al diritto alla salute dei soggetti c.d. "fragili", o, più in generale, con il diritto alla salute della collettività.
Ed infatti, l'art. 32 della nostra Carta fondamentale stabilisce:
"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge."
Occorre, pertanto, una Legge dello Stato Italiano per rendere obbligatoria la sottoesposizione al vaccino anti-covid, atteso che la vaccinazione è considerata un trattamento sanitario.
Per quest'ordine di motivazioni, il Parlamento Italiano ha recentemente approvato la Legge n. 76 del 28 maggio 2021, con la quale è stato convertito in legge il Decreto Legge n. 44/2021 "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici.".
Tale decreto prevede, all'art. 4, che per il periodo intercorrente fino alla completa attuazione del piano strategico nazionale relativo alla vaccinazione contro il COVID-19, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, l’obbligo della vaccinazione contro il detto virus per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgano la loro attività nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie o parafarmacie e negli studi professionali.
Il suddetto obbligo vaccinale, indicato come requisito essenziale per l'esercizio della professione (medici) e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati (infermieri, operatori socio sanitari, etc.) può venir meno, sempre a norma del citato articolo, in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale.
In quest'ultimo caso, il lavoratore può essere adibito, ove possibile, a mansioni differenti, anche inferiori, prestando attività lavorativa in luoghi in cui non vi sia il pericolo di contagio dal virus COVID-19.
Sulla base della normativa innanzi richiamata sono stati, pertanto, rigettati i ricorsi con i quali alcuni lavoratori dipendenti, a seguito del rifiuto di vaccinarsi contro il COVID-19, sono stati posti o in ferie forzate (Tribunale di Belluno, 06 maggio 2021, n. 328) ovvero sospesi dal servizio e dalla retribuzione (Tribunale di Modena, Sez. 3 Civile, 19 maggio 2021).
A sostegno della propria decisione il Giudice del Lavoro di Modena ha, infatti, evidenziato che il lavoratore, nell'espletamento delle proprie mansioni lavorative, deve prendersi cura, ai sensi dell'art. 20 del Decreto Legislativo n. 81/2008, non soltanto della propria salute ma anche delle altre persone presenti sul posto di lavoro, osservando precisi doveri per la tutela della salute propria e degli altri individui con i quali entra in contatto.
A ciò si aggiunge che l'art. 2087 del Codice Civile impone al datore di lavoro di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità̀ del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità̀ fisica e la personalità̀ morale dei prestatori di lavoro, pena la responsabilità per risarcimento danni in favore dei lavoratori e dei terzi.
Datore di lavoro e lavoratori sono, quindi, entrambi obbligati a collaborare per realizzare un ambiente di lavoro salubre e sicuro.
Orbene, secondo il Tribunale di Modena, il rifiuto di vaccinarsi, non sostenuto da accertate condizioni cliniche che ne evidenzino il rischio per la salute, costituisce un comportamento tale da "comportare o una modifica delle mansioni in concreto affidabili o addirittura la sospensione del rapporto", specie nel caso in cui la prestazione lavorativa debba essere espletata in ambiente sanitario con possibili ripercussioni sulla tutela della salute dell'utenza (pazienti, visitatori, etc.) e, pertanto, rende legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per il lavoratore non vaccinato.
A conclusioni non diverse giunge anche il Tribunale di Belluno, chiamato a pronunciarsi come Giudice del Lavoro sulla legittimità del collocamento in ferie forzate di alcune operatrici socio sanitarie.
Anche per tali giudici è stata ritenuta legittima l’adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti volti a impedire la presenza sul luogo di lavoro, nei particolari ambiti previsti dal decreto, di lavoratori che abbiano rifiutato la vaccinazione anti COVID-19.
Ma ciò non basta.
Il Tribunale di Belluno ha, altresì, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle ricorrenti sull'obbligo di vaccinazione previsto dall'art. 4 del Decreto Legge n. 44/2021 in relazione all'art. 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede l’obbligo della vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.
Per i giudici di merito il diritto alla salute dei soggetti fragili, che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività, nell'ambito della perdurante emergenza sanitaria, derivante dalla pandemia da COVID-19, prevale sulla libertà di chi non intende vaccinarsi.
Già, infatti, la Corte Costituzionale con Sentenza n.5/2018 in tema di vaccinazione contro il morbillo aveva specificato: "...la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost., laddove il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili...".





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