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ORARIO DI LAVORO: PUÒ ESSERE LICENZIATO IL LAVORATORE SI DEDICA AD ALTRO.

  • Immagine del redattore: Avv. Domenico Buccafurri
    Avv. Domenico Buccafurri
  • 29 mag 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

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La Suprema Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in tema di licenziamento, evidenziando che il datore di lavoro può legittimamente comminare tale sanzione se la scarsa produttività del lavoratore è dovuta a condotte tali da far venir meno il rapporto fiduciario tra le parti.


LA VICENDA.


La Corte d’Appello di Roma, a seguito della cassazione con rinvio della Suprema Corte, rigettava l’impugnativa di licenziamento per giusta causa di un impiegato con mansioni di area manager, al quale era stato un calo di produttività determinato dallo svolgimento, durante l’orario di lavoro, di un’attività extra-lavorativa.

In particolare, le doglianze del datore di lavoro riguardavano una serie di condotte, messe in atto dal lavoratore e scoperte tramite l’attività di un’agenzia investigativa:

· l’aver portato sul luogo di lavoro capi di biancheria intima al fine di rivenderli;

· l’essersi recato, durante l’orario di lavoro, in un negozio di biancheria intima gestito da una società di cui il lavoratore era socio, utilizzando, per tali spostamenti, l’automobile aziendale;

· l’aver timbrato il “cartellino” in ritardo per un considerevole numero di giornate lavorative.

Nell’emettere la Sentenza di rinvio alla Corte d’appello, la Cassazione aveva evidenziato l’errore commesso dai Giudici di secondo grado fosse consistito nel considerare il comportamento del lavoratore un illecito disciplinare che, comunque, non poteva legittimare il licenziamento.

Secondo la Suprema Corte, infatti, lo scarso rendimento, determinato dallo svolgimento di un’attività extra-lavorativa durante l’orario del lavoro può indurre il datore di lavoro a dubitare della futura e corretta esecuzione della prestazione lavorativa.

Pertanto, se il lavoratore viene ugualmente retribuito, anche per una prestazione lavorativa non effettuata per intero, perché lo stesso si dedica a diversa attività durante l’orario di lavoro, in questo caso percepisce un ingiusto profitto ai danni del datore di lavoro.


LA DECISIONE E LE MOTIVAZIONI DELLA CASSAZIONE.


Avverso la Sentenza della Corte d’Appello, quale giudice di rinvio, il lavoratore ha proposto ricorso, per la seconda volta, innanzi alla Suprema Corte sulla base di tre motivi.

Con il primo motivo il ricorrente ha lamentato la violazione del principio di intangibilità del giudicato e dei limiti del devoluto, in quanto la Sentenza impugnata non avrebbe dovuto tener conto delle contestazioni riguardanti la ritardata timbratura del cartellino e l’asserita vendita della biancheria intima sul posto di lavoro.

La Cassazione ha ritenuto di non poter accogliere tale motivo, poiché la Corte d’Appello si è attenuta ai limiti del giudizio di rinvio, che impongono di uniformarsi al principio espresso dagli Ermellini ed ai relativi presupposti di fatto.

La Corte d’Appello si è, infatti, uniformata alla regola di diritto enunciata dalla Suprema Corte ed alle premesse logico-giuridiche, tenendo conto dei seguenti e diversi accertamenti di fatto:

· l’utilizzo da parte del lavoratore della macchina aziendale per recarsi nel negozio di biancheria intima, gestito da una società della quale lo stesso ne era socio;

· l’essersi trattenuto in detto esercizio commerciale per quaranta minuti.

Anche il secondo motivo, relativo alla omessa, apparente o contraddittoria motivazione, per non aver espresso il nesso causale tra l’utilizzo dell’automobile aziendale ed il venir meno della fiducia del datore di lavoro, non è stato ritenuto meritevole di accoglimento.

La Cassazione, infatti, ha chiarito che in base al disposto di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. il vizio denunciabile è solo la violazione di legge costituzionalmente rilevante e riguarda l’esistenza della motivazione in sé.

Le argomentazioni della Sentenza impugnata sono coerenti, secondo gli Ermellini, e consentono di individuare la giustificazione del decisum:

· il lavoratore, che svolgeva attività manager, era tenuto ad un onere di correttezza e buona fede commisurato alle mansioni svolte;

· la fiducia del datore di lavoro era stata tradita dall’uso improprio, da parte del lavoratore, dell’automobile aziendale e dal tempo sottratto all’attività lavorativa per soddisfare interessi privati.

Infine, il terzo motivo di ricorso è stato ritenuto inammissibile, in quanto secondo la Suprema Corte il riferimento alla valutazione delle prove nel giudizio di merito e l’illegittimità dell’attività di investigazione, le cui risultanze hanno indotto il datore di lavoro a licenziare il proprio dipendente, sono questioni “nuove” di cui non vi è traccia né nella Sentenza impugnata né in quella rescindente.

 
 
 

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