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FURBETTI DEL CARTELLINO: IL PATTEGGIAMENTO IN SEDE PENALE LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO.

  • Immagine del redattore: Avv. Domenico Buccafurri
    Avv. Domenico Buccafurri
  • 29 lug 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 30 lug 2021


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La Suprema Corte di Cassazione (Cass., Sez. Lav., Sent. n. 20560 del 19 luglio 2021) è tornata ad esprimersi sull’efficacia di giudicato della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (patteggiamento) anche nel processo in cui sia stato impugnato il licenziamento.


LA VICENDA.


La Corte d’Appello di Milano riformava la decisione del giudice di primo grado, stabilendo la legittimità del licenziamento disciplinare di un dipendente pubblico, il quale, con l’aiuto di qualche collega, aveva attestato falsamente di essere in ufficio durante l’orario di lavoro mediante l’abusivo e reciproco utilizzo del badge.

Ed infatti, per i giudici di secondo grado, il dipendente non era stato in grado di provare che durante la contestata assenza dal luogo di lavoro avesse prestato attività lavorativa presso un altro ufficio della stessa Pubblica Amministrazione.

Ma non solo.

Secondo la Corte d’Appello di Milano, il detto dipendente pubblico avrebbe utilizzato il medesimo “escamotage” anche in caso di ritardi ed assenze intermedie per ritardati rientri dalla pausa pranzo.

Di qui viene confermata in appello la legittimità del licenziamento per il venir meno il vincolo fiduciario tra le parti.

A questo punto il dipendente pubblico ricorreva in Cassazione.


LA DECISIONE E LE MOTIVAZIONI DELLA CASSAZIONE.


La Cassazione ha ritenuto di non dover accogliere le doglianze del ricorrente ed ha, pertanto, rigettato il relativo ricorso per le seguenti ragioni.

Pur avendo il ricorrente asserito di aver lavorato, durante l’assenza contestata, presso un altro un altro ufficio giudiziario per un numero di ore persino superiore a quello del normale orario di lavoro, lo stesso non ha mai precisato per quali impegni era stato obbligato a svolgere la propria attività lavorativa presso il diverso ufficio.

Anche a prescindere da questo elemento, era stato, comunque, accertato che il lavoratore avesse utilizzato lo stesso “sistema” in caso di ritardi ed assenze intermedie.

Priva di valore è stata, inoltre, ritenuta la doglianza del ricorrente secondo la quale i giudici di secondo grado avessero erroneamente tratto elementi di convincimento sulla base della sentenza di patteggiamento in sede penale del lavoratore.

La Cassazione ha, precedentemente, chiarito (Cass. n. 20721 del 31 luglio 2019) che nei giudizi disciplinari che si svolgono dinanzi alle autorità pubbliche, e, quindi, anche quelli contro i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, la sentenza di patteggiamento ha efficacia di giudicato in ordine all’accertamento del fatto, alla sua illeceità penale dello stesso ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

Conseguentemente, continua la Cassazione, se il contratto collettivo fa riferimento per le sanzioni disciplinari (e tra queste anche il licenziamento) all’esistenza per i medesimi fatti alla sentenza di condanna in sede penale, in quest’ultima nozione vi rientra anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (patteggiamento), a prescindere dal momento in cui viene effettivamente comminato il licenziamento.

Questo perché, concludono gli Ermellini, il principio di immutabilità della contestazione riguarda esclusivamente i fatti posti a fondamento del licenziamento disciplinare, e non anche i mezzi di prova (come il patteggiamento) attraverso i quali il datore di lavoro può provare la legittimità del licenziamento stesso (Cass. 28 settembre 2016, n. 19183).

Infine, non corrisponde al vero che la Corte d’Appello di Milano non abbia sufficientemente motivato sulla proporzionalità della sanzione disciplinare (licenziamento), in quanto nella sentenza di secondo grado è stato dato ampiamente conto della gravità della condotta commessa dal dipendente pubblico mediante attività fraudolente.

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