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COVID: il cliente senza mascherina può non essere servito dal commesso.

  • Immagine del redattore: Avv. Domenico Buccafurri
    Avv. Domenico Buccafurri
  • 1 feb 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

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Con una recente pronuncia il Tribunale di Arezzo (Tribunale di Arezzo, Sez. Lav., 13 gennaio 2021, n. 9) ha affermato l'illegittimità del licenziamento del commesso che si rifiuta di servire un cliente privo di mascherina.


La vicenda.


Un commesso di un punto vendita richiedeva ad un cliente, che gli si era avvicinato senza la mascherina, di coprirsi naso e bocca con il collo della felpa, come già in passato avevano fatto altri clienti privi del DPI (dispositivo di sicurezza individuale), altrimenti non gli avrebbe “fatto cassa” per l’acquisto delle sigarette.

Per tutta risposta, l’avventore non solo si rifiutava di coprirsi il viso come richiesto, affermando che “le mascherine le portano i malati”, ma, altresì, aggrediva verbalmente il commesso.

Quest'ultimo, infatti, si sentiva dare del “ladro” (“noi - società e dipendenti - siamo dei ladri che gli prosciugano lo stipendio e che mentre prima lo facevamo a viso scoperto ora lo facciamo con le maschere”).

A seguito del rifiuto del commesso di concludere la detta transazione, il cliente “minacciava”, inoltre, di chiamare le Forze dell’Ordine, per poi allontanarsi e lamentarsi della presunta “scortesia” sul noto social (Facebook).

A questo punto il datore di lavoro decideva di licenziare per giusta causa il commesso, ritenendo che la condotta di quest’ultimo avesse violato gli obblighi contrattuali, con grave pregiudizio per l’”immagine” dell’azienda.


La decisione.


Di diverso avviso è stato, invece, Il Tribunale di Arezzo, che, dopo aver dichiarato illegittimo il licenziamento del lavoratore, ha successivamente rigettato il successivo ricorso del datore di lavoro, finalizzato all'impugnazione dell’ordinanza di reintegra del lavoratore.

Il Tribunale ha, infatti, chiarito che le frasi proferite dal commesso non erano state né gravi né offensive o ingiuriose del cliente, il quale non le ha percepite come tali e si è limitato a lamentarsi con un “post” su “Facebook”.

Per il Tribunale il rifiuto di “servire” il cliente non può essere ritenuta una condotta che pregiudica gli interessi del datore di lavoro, né tanto meno del cliente, anche se quest'ultimo non aveva potuto acquistare le sigarette.

Anzi, la risposta del commesso costituisce “una reazione verbale giustificata dall'esasperazione per una condotta altrui omissiva, denotante ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri clienti, oltreché del cassiere”.

Stando così le cose, il comportamento del commesso è stato considerato pienamente legittimo, in quanto lo stesso si è limitato ad esercitare il proprio diritto, garantito dalla Costituzione, a svolgere la propria prestazione lavorativa in condizioni di sicurezza.

Ed infatti, l’art. 2087 c.c., unitamente a quanto previsto dal D.P.C.M. del 26 aprile 2020, obbliga il datore di ad adottare tutte le misure necessarie a proteggere l’integrità fisica del lavoratore, ivi comprese quelle atte a prevenire il contagio da COVID-19.

Pertanto, prosegue il Tribunale, il commesso ben poteva, visto lo stato di necessità, astenersi persino dal lavorare, in quanto lo svolgimento della prestazione lavorativa lo avrebbe potuto esporre “ad un rischio di danno alla persona”.


1 commento


rom057743
07 feb

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