COME SI IMPUGNA IL LICENZIAMENTO? BREVE GUIDA.
- Avv. Domenico Buccafurri

- 29 ago 2020
- Tempo di lettura: 3 min

Il licenziamento, come è noto, è un evento infelice ed infausto, che pone fine al rapporto contrattuale tra il lavoratore ed il datore di lavoro, le cui cause possono essere le più varie.
Il licenziamento può essere, infatti, dovuto alle condizioni di crisi in cui versa l’azienda, oppure può dipendere da motivazioni strettamente soggettive, riguardanti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, come nel caso del licenziamento disciplinare e del licenziamento discriminatorio.
Il licenziamento disciplinare è quello comminato a seguito di un comportamento del lavoratore, ritenuto così grave da far venir meno la fiducia da parte del datore di lavoro e, pertanto, tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo. Si pensi al comportamento del lavoratore che asporta occultamente la merce di proprietà dell’azienda oppure offenda in maniera grave un altro collega, un superiore gerarchico o il datore di lavoro stesso.
Il licenziamento discriminatorio, invece, presuppone una sorta di ritorsione commessa dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore considerato, in un certo qual senso, “sgradito all'azienda”, ad esempio nel caso di licenziamento attuato per motivazioni connesse al credo politico o alla fede religiosa, all'appartenenza ad un sindacato, ovvero dettato da ragioni razziali o per l’orientamento sessuale, etc..
Ma se il licenziamento è ingiusto o illegittimo, cosa può fare il lavoratore?
Il lavoratore può impugnare il licenziamento, contestandone le motivazioni poste alla base del provvedimento espulsivo.
Ma come si impugna il licenziamento?
Innanzi tutto, bisogna distinguere due fasi: la prima stragiudiziale e la seconda giudiziale.
La prima fase (stragiudiziale) consiste nel rendere noto al datore di lavoro, inviando allo stesso una raccomandata A/R, un telegramma, etc., insomma, una comunicazione scritta nella quale dichiara di voler impugnare il licenziamento, mettendo immediatamente a disposizione la propria attività lavorativa.
Quanto tempo ha a disposizione il lavoratore per l’invio della comunicazione scritta?
La legge (art.6 Legge 604/1966) prevede che l’impugnazione debba essere effettuata entro il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento. Scaduto, infatti, tale termine il lavoratore non potrà più in alcun modo contestare la decisione del lavoratore.
A questo punto cosa può succedere?
Due possono essere le possibili conseguenze dell’impugnazione.
La prima (meno probabile, per non dire impossibile), il datore di lavoro potrebbe ritornare sui propri passi ritirando il licenziamento ed il rapporto di lavoro, pertanto, potrebbe proseguire.
La seconda (molto più probabile, se non quasi certa) il datore di lavoro potrebbe ignorare la contestazione del lavoratore, lasciando a quest’ultimo la scelta se proseguire o meno con l’impugnazione.
In quest’ultimo caso (fase giudiziale), il lavoratore dovrebbe incaricare un avvocato per il deposito in Tribunale di un ricorso, e, quindi, instaurare un contenzioso contro il proprio datore di lavoro, in modo da far dichiarare al Giudice del Lavoro l’illegittimità del licenziamento.
Sussistono dei termini entro i quali depositare il ricorso?
Anche in questo caso la risposta deve essere affermativa, in quanto la legge (art.6 Legge 604/1966) dispone che l’impugnazione diviene inefficace se il ricorso non viene depositato entro i 180 giorni successivi.
Superato, pertanto, tale termine il licenziamento non potrà più essere contestato al datore di lavoro.
Ma da quando decorrono i 180 giorni per il deposito del ricorso?
A questo interrogativo ha recentemente risposto, ribadendo il suo costante orientamento, la Corte di Cassazione (Cass. Sez. Lav., Sent. N.17197 del 17.08.2020), la quale, nel confermare la struttura bifasica del procedimento di impugnazione (ossia la fase stragiudiziale e quella giudiziale), ha nuovamente chiarito che i 180 giorni per il deposito del ricorso decorrono dalla data di invio della missiva con la quale il licenziamento è impugnato stragiudizialmente e non dalla data di ricezione della stessa.
Questo perchè, continua la Suprema Corte, l’espressione “L’ impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro…” sta ad indicare che il Legislatore ha voluto porre interamente a carico del lavoratore il doppio termine di decadenza (il primo di 60 giorni ed il secondo di 180 giorni), in perfetta linea con la ratio acceleratoria che ha ispirato la riforma.
Vai al link della Sentenza:
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